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Il testamento di Virgilio

Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione di Roma e del suo mito, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non obbedi' alla richiesta ed ebbe da Augusto l'incarico di curare la pubblicazione dell'Eneide cosi' come Virgilio l'aveva lasciata.
E' per una disobbedienza alla volonta' di un amico defunto che il poema e' giunto a noi attraverso venti secoli, con l'occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse - forse! - l'autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtu' romane, la scintilla vitale.
A cura di Accademia Teatrale ''Francesco Campogalliani''